Bere chinotto oggi
Più o meno a metà
degli anni 2000 si è assistito a un vero e proprio boom del chinotto (inteso come bevanda gassata). Scomparso
da anni dagli scaffali dei negozi e di molti bar, fatta eccezione per un paio
di marche più note, relegato a bevanda di nicchia per pochi intenditori un po’
snob e un po’ cialtroni (il pubblico del chinotto è sempre stato in bilico tra
raffinato gusto retro e goliardia
grossolana), il che tra l’altro spiega la nascita di questo e di altri nati sulla sua scia, il chinotto è stato protagonista di un
incredibile rilancio nel nuovo millennio, di proporzioni tanto inattese
da rendere l’autore stesso totalmente sorpreso nonché incapace di seguire gli
sviluppi in tempo reale per aggiornare il suo blog.
E’ difficile spiegare
esattamente le ragioni di questo successo, se siano frutto di oculate scelte di
marketing o se viceversa la crescente domanda di chinotto ha stimolato il
lancio di tanti nuovi prodotti correlati. Probabilmente uno dei fattori
trainanti è stata l’inclusione del chinotto di Savona tra i presidi slow food,
nel 2003. Più in generale negli ultimi anni si è assistito a una trasformazione
dell’industria del cibo, che ha visto il nascere di nuove linee e nuove
tendenze con molta cura al design, al
packaging, al mood (il tutto, ovviamente, in chiave rigorosamente italiana!). Le parole chiave dietro a un prodotto come il
chinotto sono senza dubbio l’italianità e il vintage. L’italianità, non intesa come bigotto campanilismo ma come
crescente presa di coscienza del nostro patrimonio nazionale soprattutto in
campo gastronomico, comporta, dopo qualche decennio di esterofilia acritica, la
riscoperta di gusti e tradizioni italiane, che il mercato ha sapientemente
caratterizzato con un’aura quasi glamour.
Basti guardare le pubblicità o i siti web legati al prodotto italiano (dalla
pasta al bed and breakfast) per
accorgersi a primo sguardo che fotografie patinate e raffinate comunicazioni
tendono a caratterizzare il made in italy
non più con lo spirito casalingo (e casareccio) che è stato per lungo tempo
nell’immaginario collettivo (anche estero), ma come consumo di alta classe.
Esistono raffinate catene di ristorazione che propongono prodotti confezionati di fascia medio-alta su scaffali che sembrano
profumerie. Nel Regno Unito, per esempio, si è sviluppata recentemente una
“rinascita gastronomica” in cui gran parte ha avuto l’influenza della cucina
italiana, vista ora come prodotto di eccellenza. Insomma, meno “macaroni” di
Alberto Sordi e più consumo di alta classe. Si tratta di un fenomeno che
probabilmente ha anche a che fare con la necessità di tutelare la qualità della
nostra esportazione in un mercato globale caratterizzato da una crescente
componente di contraffazione, per cui probabilmente i produttori della bevanda
chinotto non hanno fatto che seguire la scia di un cambiamento in atto
nell’intera industria italiana.
Vuoi per fenomeni di
commercio internazionale, vuoi per i corsi e ricorsi delle mode che dopo aver
riscoperto gli anni settanta ora stanno metodicamente ripercorrendo i
successivi anni ottanta (si vedano musica, moda, cinema), vuoi per il
sovrapporsi di fenomeni di tendenza enormemente diffusi legati al fascino del
modernariato, del vintage (il
recentemente antico che si fa oggetto prezioso da collezione); complice infine
anche il potere della rete, in cui il passaparola può diventare più incisivo
della pubblicità sui grandi network, e in cui esiste tutta una serie di
movimenti, di comunità trasversali che tendono a riunirsi e codificarsi intorno
a oggetti di riconoscimento (non esiste quasi oggetto presente o passato che
non abbia i suoi fan su facebook o la
sua pagina web) e in cui la rapidissima circolazione delle informazioni
permette di reperire, ricostruire, collezionare ciò che prima sarebbe stato
impossibile (e anche questo sito ha attinto copiosamente da siti di
collezionisti di bottigliette o di tappi – tutti rigorosamente citati);
considerando tutti questi fattori sommati e probabilmente indivisibili,
insomma, il chinotto è diventato lentamente prodotto di tendenza. Non più la
premeditata eccentricità di chi vuole distinguersi dalla massa (che è stato il
focus di alcune note campagne promozionali) né oggetto di ridicolo (complice
forse anche la famosa canzone degli Skiantos), ma alternativa apprezzata e
dignitosa nelle scelte di bere. Non più bibita di serie B da consumare al
bicchiere in una latteria ma prestigioso soft drink servito in bottiglietta dal
design accattivante anche nei migliori ristoranti (come avviene ad esempio
negli Stati Uniti con l’acqua minerale italiana). Non più (o almeno non solo)
il vezzo di spiritosi bagnanti nostalgici della villeggiatura d’antan o del baretto dell’oratorio, ma
prodotto squisitamente gourmet.
Gli ultimi dati
reperiti parlano di un giro d'affari di oltre 60 milioni di euro (ma sono dati
del 2006 [Assobibe, cit. Alessandra Moneti]) ma anche di una crescita
dell’esportazione del chinotto versi altri paesi, specialmente oltreoceano. Si stima che
il consumo nazionale sia pari a circa 6 litri pro-capite annui contro i circa 5
delle gazzose, i 14 delle aranciate e i 26 delle cole. (!)
La rinascita del chinotto
Fino a una ventina di
anni fa i produttori erano una miriade e avevano una distribuzione regionale.
Poi sono gradualmente scomparsi, assorbiti da uno sparuto numero di grandi
imprese e multinazionali. Oggi invece conosce un vero e proprio fenomeno di
rinascita.
Non è facile stabilire l’ordine esatto degli avvenimenti, ma
fu con enorme sorpresa che vedi comparire a Bologna, negli scaffali dei
migliori negozi, il Chinotto Neri, nella duplice versione di lattina e di
bottiglietta, con il logo originale degli anni '50. Pochi anni dopo lo stesso
era reperibile addirittura nelle macchinette automatiche vendi-bibite
all’interno di multisale cinematografiche o altri luoghi pubblici. Negli stessi
tempi è cominciata la diffusione, prima nei bar che nella grande distribuzione,
del Chinotto Abbondio, con una splendida etichetta raffigurante una pin-up
anni '50 (con una azzeccatissima anticipazione della moda "burlesque"
di cui ormai parla anche il TG4), in doppia versione: bottiglietta classica e
bottiglietta "da collezione" con il collo a 8 e la biglia interna.
Legata alla nomina del chinotto di Savona come presidio Slow
Food è nata la grande diffusione del Chinotto Lurisia, anch’esso distinto da
un'etichetta da metà '900, ancorché più spartana (una semplice etichetta
stampata giallo chiaro, senza immagini), che nel giro di pochi anni è divenuto
prodotto di eccellenza, presente anche nei menu dei migliori ristoranti.
Nel 2011 un altro produttore, Macario, ha lanciato una serie
di bibite in bottigliette di vetro con etichette vintage.
E’ evidente che nell'immaginario collettivo il rilancio del
chinotto è associato imprescindibilmente a un'estetica “vecchio stile”.
(Facendo 2+2 se ne deduce che probabilmente il target del chinotto non è
esattamente il pubblico di MTV, ma una fascia di popolazione più matura e con
una consapevolezza sui consumi).
L’amore per il vintage è dimostrato anche dalla grande
diffusione di vecchi manifesti e altri oggetti da collezionisti, che impazzano
nelle aste su web. Nel 2010 a Roma la Città del
Gusto del Gambero Rosso ha ospitato una grande mostra, sponsorizzata dalla Sanpellegrino, che esponeva le immagini storiche delle loro bibite dagli anni 30 agli anni sessanta. ed una galleria di scatti inediti delle grandi stelle del cinema, rubati mentre “si dissetano”.
Gusto del Gambero Rosso ha ospitato una grande mostra, sponsorizzata dalla Sanpellegrino, che esponeva le immagini storiche delle loro bibite dagli anni 30 agli anni sessanta. ed una galleria di scatti inediti delle grandi stelle del cinema, rubati mentre “si dissetano”.
Da non trascurare, infine, che sempre in questi anni si registra
finalmente il boom del consumo critico, ed è molto più diffuso un approccio più
consapevole agli acquisti e all'alimentazione (commercio equo e solidale,
prodotti biologici, slow food, ecc.). Anche il chinotto è riuscito a entrare in
questo ambito e cominciano ad apparire anche sugli scaffali delle botteghe più
impegnate prodotti legati al chinotto e con caratteristiche “etiche”, come il
chinotto biologico, la marmellata di chinotti, il chinotto al maraschino.
Nel frattempo i mezzi di informazione cominciano a
interessarsi al fenomeno.
Il 17 Agosto 2009 il TG2 Economia dedica un servizio al
rilancio delle bevande nostrane, e cita espressamente il boom del chinotto. Gli
fa eco il giorno dopo Il Giornale, che dedica un servizio – quasi di
un’intera pagina - allo stesso argomento.
Il numero di agosto 2009 della rivista Gambero Rosso è dedicata al "ritorno del chinotto".
Da quel momento in poi si moltiplicano soprattutto sui giornali online e si blog gli articoli dedicata alla nera bevanda, anche se spesso si tratta delle stesse fonti copiate e incollate all’infinito. (Il sottoscritto ha trovato addirittura diversi articoli basati per la massima parte sui contenuti del proprio sito sul chinotto.)
Da quel momento in poi si moltiplicano soprattutto sui giornali online e si blog gli articoli dedicata alla nera bevanda, anche se spesso si tratta delle stesse fonti copiate e incollate all’infinito. (Il sottoscritto ha trovato addirittura diversi articoli basati per la massima parte sui contenuti del proprio sito sul chinotto.)
Con l'avvento del web 2.0, cominciano a pullulare i video
fai-da-te su YouTube, i gruppi Facebook, i blog che parlano di chinotto. Non ci
dilungheremo in riferimenti, dato che si tratta di un mondo in continua
evoluzione e rischieremmo di pubblicare informazioni già superate, ma tra le note
webbografiche elenchiamo i link alle pagine più
significative. Per ulteriori risultati, consigliamo semplicemente di usare un
motore di ricerca.
Nel 2012 la rinascita del chinotto è un fatto talmente
assodato ed entrato nella cultura popolare che il 26 agosto i giornali
riportano una frase di Silvio Berlusconi che, riferendosi a una sua possibile
ricandidatura, avrebbe detto “«Torna Batman al
cinema, torna Beautiful su Canale 5 e torna di moda il Chinotto… Non ho capito, ma solo io non posso tornare?».
Nello stesso mese si diffonde
la notizia di una proposta di tassazione sulle bevande analcoliche con
zuccheri aggiunti ed edulcoranti, che viene immediatamente ribattezzata “tassa
sul chinotto”. Nascono i siti web “no alla tassa sul chinotto”.
Purtroppo solo nel settembre 2012 Repubblica sembra
accorgersi…
In questo clima di giustificato pessimismo
globale, finalmente una buona notizia. È riapparso il Chinotto. Sulle nostre
tavole, nei supermercati, al bar, finalmente si può tornare ad ordinarlo.
Orgogliosi, senza sentirsi dei reduci dell'olocene della bevanda, senza dover
subire il sorriso derisorio di chi sta dietro il bancone. Profumato, acidulo,
relativamente zuccheroso (dipende dalle marche) è stato la Coca Cola d'intere
generazioni.E possiamo andarne fieri, perché il Chinotto è un prodotto
tipicamente italiano. Se Godard prendeva in giroi giovani contestatori
americanizzati, definendoli "figli di Marx e della Coca Cola", noi,
gramscianamente, avremmo potuto opporre "figli di Marx e del
Chinotto", che purtroppo però fu sconfitto. Ma oggiè risorto. Segno di una
riscossa locale? Della riscoperta di certe radici e di relativi frutti? D'un
effervescente pluralismo nel troppo omologato universo gassato? Forse. Intanto
godiamoci il ritorno e una sua variante cocktail. Approfittiamone per passare
dal molle, dolciastro Cuba Libre (Coca e Rhum) al più fresco e vigoroso
Cubotto. Ovvero Chinotto e Rhum. Ai Caraibi ne andrebbero pazzi.
A questo punto aspettiamo solo che diventi Patrimonio
dell’Umanità.
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