Il frutto: provenienza
Come la stragrande maggioranza degli agrumi, il chinotto è probabilmente originario dell'Asia sud-orientale, forse dalla Cina (cui deve il suo nome) e dalla Cocincina, e sarebbe stato importato in Italia tra la fine del '500 e l'inizio del '600 da un navigatore livornese o savonese. Secondo alcuni ricercatori invece la pianta sarebbe originaria del Mar Mediterraneo dove si sarebbe sviluppata a seguito di una mutazione gemmaria dell'arancio amaro.
(Vale la pena sottolineare che l’arancio amaro è effettivamente un agrume a se stante, usatissimo nelle industrie alimentare, profumiera e farmaceutica. L’aranciata amara, tuttavia, non è prodotta con i frutti dell’arancio amaro, ma con arance normali con l’aggiunta di amaricanti come l’estratto di china).
Un’altra ipotesi è che furono i Portoghesi a incontrare l’albero nel XVI secolo nella città-colonia di Goa in India, dove diedero all'albero questo nome in quanto già riconoscevano l'origine cinese.
Grazie a cinque secoli di paziente lavoro di selezione operato dagli agricoltori rivieraschi, si sarebbe ottenuta una pianta capace di dare piccoli frutti, quasi apireni (privi di semi), dalle caratteristiche organolettiche uniche, per intensità di sapore e profumo.
L'interesse era dovuto al fatto che da tale frutto si ricavava una importante e odorosissima essenza per profumi; non solo ma la presenza di moltissime sostanze antiossidanti lo rendeva adatto alla conservazione sui velieri di allora su lunghissimi tragitti, come fonte di vitamine per gli equipaggi. Fu ben presto importato in Europa dove si acclimatò sulle sponde del Mediterraneo e dove fu usato per entrambi gli scopi summenzionati.
La sua presenza nelle aree della Turchia, della Siria, e del Mar Nero è dovuta invece alla coltivazione che ne fecero i Turchi solo ai fini di estrazione dell'essenza profumiera. In quegli anni si cominciò a mangiare il chinotto con molto zucchero, oppure candito o anche spremuto come bevanda.
Attualmente, infatti, non ci sono notizie su alcun tipo di coltivazione del chinotto nei paesi asiatici. All'infuori dell'Italia (Liguria, Toscana, Sicilia e Calabria), la sua presenza si limita a sporadiche apparizioni sulla Costa Azzurra francese.
Secondo alcune fonti, invece, si avrebbe notizia della coltivazione del chinotto sin da epoca romana.
La prima coltivazione a livello industriale risale all’inizio dell’1800 e ha toccato la sua massima diffusione tra il 1900 ed il 1915, per poi subire un declino nella seconda metà del XX secolo, tendenza che sarà ribaltata a partire dal 2003 quando, grazie alla collaborazione fra il comune della città e Slow Food, è nato il Presidio del Chinotto di Savona, che ha fatto tornare in auge questa pianta.
Il primo laboratorio di canditura in Liguria risale al 1877 quando la Silvestre-Allemand, azienda del sud-est della Francia, si trasferì a Savona dalla città di Apt, nel sud-est della Francia. Il chinotto acclimatatosi sulla riviera ligure di Ponente, si dimostrò più adatto alla trasformazione per le dimensioni ridotte, la buccia più spessa, resistente e profumata e la maturazione precoce. In pochi anni nacquero molti stabilimenti locali che, impiegando le tecniche introdotte dai francesi, affinarono l’arte della canditura, ponendo le basi di un’importante tradizione pasticciera. Verso la fine del 1800 a Savona fu fondata la Società Cooperativa dei chinotti che, sull’esempio delle Camere Agrumarie del sud Italia, si occupava della coltivazione della trasformazione e della vendita dei frutti. Il periodo di più intensa attività dell’industria dei frutti canditi è quello a cavallo tra il XIX e il XX secolo. La fortuna di questo prodotto continuò fino agli anni Venti..
Oltre ai frutti canditi, anche i chinotti conservati nel Maraschino diventarono un prodotto molto apprezzato e il suo consumo crebbe, raggiungendo l’apice negli anni Venti del secolo scorso. Una tradizione delle feste consisteva nell’offrirlo in un bicchiere di liquore, ma venne abbandonata con il passare del tempo, così come la sua coltivazione estensiva e il suo utiizzo. Solo di recente queste tradizioni sono state riportate alla ribalta grazie all'azione di Slow Food.
La diffusione attuale
Attualmente la coltivazione del Chinotto è completamente scomparsa dalla Penisola Iberica, dalla Provenza, dal Nord Africa nonché all'Est dalla Turchia e dalla Siria.
È significativo il fatto che in Francia gli alberi di Chinotto siano rintracciabili ormai solo nella zona di Nizza (che fino al 1860 faceva parte dell'Italia); rimane una coltivazione rara ma presente in Georgia sulle coste del Mar Nero specialmente intorno alla capitale Tbilisi.
Mentre l'esportazione di chinotti era un tempo molto attiva verso l'Inghilterra, le Americhe e soprattutto la Francia (che, fino a non molti anni fa, da sola assorbiva i tre quarti della produzione ligure), attualmente tale commercio si è praticamente estinto. [
fonte]
In Italia alla fine della II guerra mondiale la coltivazione dei Chinotti era presente solo in Liguria (da Ventimiglia fino a Nervi) e in Sicilia. Oggi rimane coltivato in maniera industriale solo nella provincia di Savona (da Albenga a Varazze) con un picco di produzione nella zona compresa da Pietra Ligure a Finale Ligure. Qui i chinotti si estendono in una zona litoranea dai 2 ai 300 m s.l.m., spingendosi nelle vallate retrostanti.
In Sicilia lo si ritrova sporadicamente solo nella zona di Taormina. Allo stato attuale la Liguria rimane insieme alla Georgia l'unica zona dove la pianta del Chinotto cresce spontanea fuori dal suo areale asiatico.
Questo non esclude che sia possibile imbattersi in relitti di chinotteti e piante isolate in altri paesi del mediterraneo. Ad esempio l'
Arciconfraternita del chinotto riportata la presenza di piante di chinotto a Creta-Grecia e in Algarve-Portogallo, dove però le piante non vengono utilizzate come si fa in Italia.
La produzione di Chinotti in Liguria si aggira sui 500 q.li annui con tendenza all'aumento per una specifica politica di tutela da parte della Provincia di Savona ed conferito quasi totalmente a industrie locali (viene consumato candito, sotto maraschino, come marmellata, estrazione dell'essenza).
Le bollicine
Il chinotto è sicuramente percepito come bibita meno dolce rispetto alle rivali bibite cole (di origine nord americana) con cui ha in comune il colore scuro (dovuto alla presenza di zucchero caramellato) e – in alcuni casi - una leggera presenza di caffeina. Esistono diversi forum stranieri, soprattutto americani, in cui si recensisce il nostro chinotto (che in molti casi viene molto apprezzato) in cui si sottolinea come sia proprio del gusto mediterraneo la propensione per sapori amari.
L’origine della bevanda quale la conosciamo oggi è incerta; fonti diverse (inclusi comunicati ufficiali delle case produttrici che abbiamo personalmente ricevuto) attribuiscono l’invenzione o la prima messa in produzione ad aziende diverse.
La fonte più accreditata sostiene che la prima bibita gassata a base di chinotto risalga al 1932, su iniziativa della Sanpellegrino che da allora lo ha ininterrottamente prodotto dapprima con la semplice denominazione di “Chinotto Sanpellegrino” e successivamente con il marchio specifico “Chinò”, divenendo leader in questo specifico comparto.
A partire dal 1949 la ditta Neri di Capranica avvia la commercializzazione su grande scala del prodotto che diventa ben presto popolarissimo. Ci sono testimonianze fotografiche di campagne pubblicitarie molto originali risalenti agli anni cinquanta, come i cartelloni che campeggiano nel centro di una Bologna innevata dei primi anni ’50 in queste preziose foto d’archivio.
foto dagli archivi dell'azienda trasporti dell'Emilia-Romagna TPER
A quei tempi non era affatto inusuale vedere grandi automobili americane, Cadillac e Chrysler solcare le strade della penisola con gigantesche bottiglie del chinotto Neri sul tetto, una forma di “reclame” ante carosello indubbiamente efficace.
Alfa Romeo Freccia D'Oro (fonte: "Carrozzeria Boneschi" di Sergio Puttini. …)
Fiat 1400 Boneschi (fonte: "Carrozzeria Boneschi" di Sergio Puttini. …)